
Dettagliata relazione della corte dei conti sullo stato del contenzioso tributario
Rilievi assai precisi ed a volte assai discordanti dai resoconti statistici dell’AE sullo stato del contenzioso tributario e sulla refluenza sul gettito.
Di pregio i rilievi sull’utilizzo dell’autotutela: “che deve essere doverosamente attivato per ripristinare la legalità violata tutte le volte che l’amministrazione si avveda dell’illegittimità anche parziale della pretesa tributaria, in coerenza con il carattere vincolato dell’attività impositiva che deve essere diretta alla corretta applicazione dei tributi: la mediazione non può essere un surrogato dell’autotutela che l’amministrazione talvolta sembra avere ritrosia ad adottare, forse per timore di responsabilità amministrativa. Ciò determina in molti casi un onere aggiuntivo per il contribuente che, anzichè ottenere senza formalità l’annullamento totale o parziale dell’accertamento, è costretto ad approntare un ricorso completo in tutti i suoi aspetti per ottenere lo stesso risultato che avrebbe dovuto attenere con l’autotutela e pagare una sanzione.(pag.91/92)”
Di eguale importanza i rilievi in tema di percentuali di recupero, il cui quadro smentisce irrimediabilmente gli editti ed i proclami sul ruolo della difesa tecnica “Il contenzioso tributario viene poi inquadrato all’interno dei complessivi esiti degli atti impositivi (conseguenti ad accertamenti sostanziali): una significativa percentuale, il 20 per cento, della maggiore imposta accertata è definita con strumenti deflattivi, con la conciliazione giudiziale e con la voluntary disclosure (il 17, 36 al netto della voluntary disclosure; il 31, 47 per cento è oggetto di impugnativa e ben il 48,52 è collegato ad atti per i quali il contribuente non ha utilizzato gli istituti definitori previsti dal d.lgs n.218/1997, nè ha proposto ricorso. In relazione a questi ultimi risulta che il debito tributario è recuperato soltanto per lo 0,06 per cento con versamenti diretti e per lo 0,33 per cento con la riscossione da ruolo. Sono dati che destano preoccupazione: quasi la metà degli accertamenti sostanziali (oltre il 48 per cento) non ha effetti positivi per l’erario e si traduce in costi gestionali improduttivi e future quote inesigibili. E’ evidente la necessità di rivedere con urgenza la tenuta del sistema.(pag.14/15)
LEGGI LA RELAZIONE DELLA CORTE DEI CONTI
(fonte http://www.uncat.it/news/notizie_di_attualita_generale_/ )
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Split payment anche per i professionisti
Il decreto 50/2017 prevede il regime dello Split Payment per tutti i professionisti che prestano i loro servizi nei confronti delle pubbliche amministrazioni (stato, enti pubblici territoriali, università, camere di commercio, Asl ed Enti ospedalieri, enti di previdenza etc.).
Dal 1° luglio il professionista dovrà emettere la parcella con le consuete modalità, ma dovrà indicare, in relazione all’iva esposta in parcella, il riferimento all’articolo 17 ter DPR 633/72 – Split Payment: l’importo dell’iva non entrerà a far parte della somma incassata dal professionista che, di conseguenza, non dovrà inserirla nella sua liquidazione e non dovrà versarla, perché a ciò provvederà direttamente l’ente pubblico.
AGENZIA DELLE ENTRATE Risoluzione n. 45 del 19 giugno 2018
(fonte http://www.uncat.it/news/notizie_di_attualita_generale_/ )
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In materia di imposta di registro il giudicato favorevole si estende al coobbligato
Cass. civ. Sez. V Ordinanza, 30/01/2018, n. 2231
Con l’ordinanza in oggetto il Supremo Collegio ha affermato che l’acquirente di un immobile al quale sia stato notificato avviso di liquidazione dell’imposta di registro sul presupposto che il valore dichiarato nell’atto fosse inferiore a quello reale può – impugnando il suddetto avviso di liquidazione – opporre all’erario il giudicato riduttivo del maggior valore ottenuto dal venditore (coobbligato in solido con l’acquirente), anche se non abbia impugnato l’avviso di rettifica propedeutico a quello di liquidazione ed ancorché egli abbia pagato la pretesa imposta non per spontanea adesione alla pretesa tributaria, giacché solo in quest’ultimo caso è irripetibile quanto versato.
In tal senso, non può definirsi spontaneo il pagamento di un atto impositivo, effettuato solo al momento della ricezione dello stesso, allo scopo di evitare l’esecuzione forzata ed accompagnato dalla contestuale impugnazione del medesimo.
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Agevolazioni prima casa spettanti se l’immobile nel proprio Comune è inidoneo all’abitazione
Con la pronuncia in oggetto il Supremo Collegio ha affermato che non si può ritenere d’ostacolo all’applicazione delle agevolazioni “prima casa” la circostanza che l’acquirente dell’immobile sia al contempo proprietario d’altro immobile (acquistato senza agevolazioni nel medesimo comune) che, “per qualsiasi ragione” sia inidoneo, per le ridotte dimensioni, ad essere destinato a sua abitazione” (conforme a Cass. civ. Sez. 5, sentenza 17 maggio 2006, n. 11564).
Nel solco dell’orientamento sopra riportato, ha inoltre affermato che – ai sensi della lett. b) della Nota 2 all. alla Tariffa 1 del D.P.R. n. 131 del 1986, ipotesi diversa dalla lett. c) della Nota 2 cit., e alla luce dei principi affermati con l’ordinanza n. 203 del 2011 della Corte Costituzionale – l’inidoneità dell’alloggio già posseduto debba essere valutata anche dal punto di vista soggettivo del compratore in relazione alle esigenze abitative del suo nucleo familiare (Cass. 2017 n. 27376; Cass. 2016 n. 2278; Cass. n. 26653 del 2014; Cass. n. 21289 del 2014; Cass. n. 23064 del 2012; Cass. n. 12866 del 2012).
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